
- 26 Maggio 2025
- Matteo Fratarcangeli
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- Comuni
Mandela (RM) 26 Agosto 2025
LA PAURA DELL'ESSERCI - NUOVO TEATRO VERDE ORE 21:00
Il nome del paese, Mandela, non è
altro se non quello con cui il villaggio era noto in epoca romana. Orazio,
nella citata epistola (1, 16, 1-14), ne parla a proposito di una villa chiamata
Sabinum o Sabini. Il poeta afferma che essa si trovava nel paese dei Sabini a
nord di Tivoli e ricorda che gli era stata regalata da Mecenate. La descrive e
ci informa sul fatto che egli qui teneva un gastaldo con otto schiavi per il
lavoro dei campi. Aggiunge che spettavano inoltre al podere cinque masserie.
Questi abitavano in un pagus (villaggio) ubicato sul pendio della valle della
Digentia ed aveva il nome di Ustica. Al podere era unito un bosco chiamato Haedilia.
In vicinanza della villa scaturiva una sorgente di acqua limpidissima che,
riunendosi ad altre acque formava poi il Digentia (ora Licenza), sul quale, al
suo uscire dalla valle, si trovava il villaggio Mandela, detto poi Bardela (Ep.
1, 18, 105). mentre viene citato come Massa Mendelana nell’iscrizione di una
lapide dedicata, nel I secolo d.C., a Valeria Massima. Poi il paesino fu noto
semplicemente come Cantalupo. Negli atti della burocrazia pontificia è
riportato affiancato il nome Bardella (tranne che nel periodo 1676-1680 in cui
il paese è invece citato come Cantalupo di Madama); alcuni invece hanno
considerato Cantalupo e Bardella come se fossero due diversi centri, due
castelli. Nel 1843 il paese era ancora citato con entrambi i nomi associati. Si
ignora il motivo per cui si tornò ad utilizzare l’originario nome Mandela dopo
l’unità d’Italia. Ma facciamo di nuovo un passo indietro nella storia. La
splendida posizione geografica permetteva al paese in questione di controllare
la sottostante valle dove transitavano nel fondovalle dall’antico Sannio
(Abruzzo) tutti coloro che erano diretti a Roma per commercio o per
pellegrinaggio (o ne facevano ritorno). I Saraceni, arroccati a Saracinesco,
attaccavano e depredavano i viandanti. E’ naturale quindi che tale posizione
fosse sfruttata dalla potente Abbazia di Farfa (a cui andava la simpatia della
ghibellina Tivoli), rivale di quella sublacense, appoggiata dai pontefici. Seguendo
il tipico e medievale fenomeno dell’incastellamento, i farfensi incastellarono
la collina di Bardella e fortificarono il piccolo borgo di Cantalupo,
approfittando della crisi in cui versava l’Abbazia di San Cosimato a cui
quest’ultimo borgo apparteneva. Con la morte di Alberico nel 954 infatti, per
il complesso di S. Cosimato era iniziato un periodo di decadenza. Non essendo
più appoggiato, aveva dovuto rinunciare a molti possedimenti che il defunto gli
aveva dato sottraendoli all’Abbazia di Subiaco ed a cui erano tornati per
decisione pontificia. Così, non avendo più forti risorse, il monastero di
S.Cosimato era divenuto facile preda delle mire dei potenti signori confinanti
tra cui i Crescenzi Ottaviani; poi nel 1081 il pontefice Gregorio VII lo aveva
incluso tra i possedimenti dell’abbazia di S.Paolo fuori le Mura ma anche Tivoli
aveva allungato le mani ed aveva occupato e fortificato il complesso di
S.Cosimato. Tornando al predetto incastellamento sul rialzo di Bardella, esso
era costituito da un maschio (torre) di pianta quadrata che dominava lo spiazzo
delimitato da una cinta muraria in cui trovavano collocazione vari edifici
utilizzati per la difesa del castrum. Immediatamente a ridosso di tale cinta
muraria erano poche case, con una chiesa dedicata a San Pietro, che come di
consuetudine allora, aveva anche un piccolo ospedale. Il borgo di Cantalupo era
vicinissimo: bastava oltrepassare il ponte levatoio che permetteva di superare
il fossato.
Anche nel paese di San Polo dei
Cavalieri (come in altri limitrofi) c’è una chiesa dedicata a questo Santo, il
cui culto nel Medioevo fu particolarmente seguito.Nel caso di San Polo si
racconta che grazie alla protezione di S. Nicola due Sanpolesi, partiti per
liberare i luoghi santi grazie alle Crociate, sarebbero riusciti a tornare a
casa sani e salvi. Durante il pontificato di Celestino III (1191-1197)
Cantalupo e Bardella furono dati in pegno agli Orsini (ne furono signori fino
alla metà del secolo XVII). Verso la fine del Quattrocento però l’importanza
strategica della posizione geografica cominciò a diminuire senza contare che
pure le sorti degli Orsini subirono un tracollo. Il risultato fu che Bardella
decadde. Essendo Cantalupo e Bardella, oberati dai debiti contratti dagli
Orsini di Vicovaro, nel 1650 Innocenzo X, al secolo Giambattista Pamphili
eletto papa nel 1644, concesse a Porzia Moroni e Raffaele Andisiglia, erede di
Anna Moroni, la facoltà di rilevarli e di venderli a Cesare Palazzolo. Alla sua
erede, Margherita Palazzolo, il nuovo pontefice Alessandro VII concesse con una
scrittura di propria mano e datata 26 aprile 1659 di rivenderli a Francesco
Nunez Sanchez ma nel 1660 il cardinale Orsini vi si oppose portando avanti il
fatto che la liquidazione dell’eredità Orsini non era ancora definitiva. Il
papa quindi impose a Margherita Palazzolo la restituzione dei soldi ricevuti da
Francesco Nunez Sanchez, limitandosi solo a riscuotere gli interessi fino a
quando la vertenza fosse conclusa. La famiglia dei Nunez, pur mantenendo dal
1659 il complesso di Cantalupo e Bardella unitamente al titolo di marchese,
solo nel 1706 (acquistando la terza parte del feudo proveniente dall’eredità
Orsini) divenne proprietaria a tutti gli effetti a cui seguì da parte dei
mandelesi un solenne giuramento di vassallaggio il 18 giugno 1706. I Nunez
mantennero il feudo per tutto il XVIII secolo acclamati dalla popolazione per
la loro disponibilità. Tra le loro iniziative occorre ricordare la costruzione
della chiesa di San Vincenzo al borgo, dove sono custodite le loro tombe. Nel
1792 il papa tolse la titolarità a Gondisalvo Nunez per difetto di
giurisdizione ma la popolazione supplicò il pontefice di lasciare il feudo al
Nunez. Tale potente famiglia lo perse solo nel 1821 essendo ormai giunti ad una
definitiva soluzione della vertenza Orsini. Il feudo quindi fu affidato ai
fratelli Prosperi che nel 1835 vi rinunciarono a favore del Marchese Del Gallo (nel
1824 aveva acquistato il feudo di Roccagiovine). Verso la metà del XIX secolo
Giulia Bonaparte diede vita nel paese ad un salotto letterario frequentato da
artisti, pittori e uomini di cultura. Malgrado i numerosi rifacimenti nel corso
del tempo, il paese presenta ancora l’aspetto di un piccolo borgo medievale,
con le sue piccole case, con il castello e l’imponente torre quadrata.